Fabrice Midal

Visione del Tantra

 

3ème Millénaire n. 87 – Traduzione della dr.ssa Luciana Scalabrini

 

 

Alexis Lavis. Avete pubblicato una “Introduzione al Tantra buddista, l’incandescenza dell’amore” presso Fayard. In quel libro avete cercato di presentare in modo molto diretto e semplice la visione del tantra, senza i dettagli delle tecniche di pratiche complesse. Potete presentarci i grandi tratti di questa tradizione spirituale ed esoterica?

 

Fabrice Midal.   Il tantra è una delle vette della tradizione buddista. Contrariamente a molte idee correnti, non appartiene solo al mondo tibetano, ma è rimasto vivo soprattutto in quella parte del mondo. E’ nato in India  e si è diffuso in tutta l’Asia come è testimoniato a Giava, a Borobudur, che è un monumentale mandala, simbolo tantrico. Inoltre la tradizione tantrica non è solo buddista. Ci sono per esempio tantra shivaiti. E’ inutile sapere che dall’induismo o dal buddismo è partito lo sviluppo del tantra, però c’è una specificità dell’approccio buddista. Potremmo presentare le cose così: se il Budda ci insegna  a entrare in rapporto con la realtà così com’è, a liberarci dall’ignoranza e dalle proiezioni che ne derivano, il tantra radicalizza quell’aspetto. Ci spinge a saltare a piedi pari nel cuore del reale.

La presentazione abituale del tantra, invece di privilegiare questa visione così semplice e diretta, che ci getta in faccia la realtà, si perde spesso nelle descrizioni di tecniche complesse. Si è presa l’abitudine di fare il contrario  di quello che l’uso tradizionale prevede: nei testi presentare la visione e lo spirito del tantra e nei commentari orali descrivere i dettagli delle pratiche. Se non tutti sono chiamati a praticare il tantra, in cambio comprendere il pensiero del tantra è un’esperienza illuminante, rivela in certo senso la verità spirituale quando si libera dai fardelli religiosi.

 

D.      Qual è la visione del tantra?

 

R.      Saltare a piè pari nel cuore del reale. Ora, bisogna ben riconoscerlo: il reale noi non lo vogliamo. Cerchiamo che tutto sia conforme ai nostri desideri e così siamo prigionieri dei briganti della speranza e della paura. Se siamo onesti, dobbiamo ammettere che la maggior parte della nostra giornata è dedicata a passare dalle mani dell’una a quelle dell’altra. Molto raramente passiamo il tempo a guardare ciò che è come è.

 

D.    Cosa ci può portare la pratica del tantra?

 

R.    Niente! Per il tantra ogni tentativo di migliorare la situazione dove siamo è dannoso,

rischia di farci allontanare da ciò che è.

Così nella prospettiva tantrica, la meditazione, tesa verso un progetto, ci mette fuori strada. Voler fare il vuoto, trovare la pace, rilassarsi, essere più compassionevoli…, sono tanti modi di evitare di entrare nel vero spazio della meditazione. Sorprendente, lo ammetto.

Tutti i nostri sforzi per migliorarci, per essere più giusti, più perfetti, ci allontanano dall’essenziale.

La meditazione non è lì per aiutarci a essere migliori, ma per aprirci incondizionatamente. Credo che oggi, nell’età del materialismo spirituale, dove il buddismo diventa troppo spesso liofilizzato, il giudaismo identitario e il cristianesimo convenzionale, il tantra è assolutamente salutare. Impossibile manipolarlo.

La spiritualità autentica implica un salto radicale, ci invita a guardare tutto in un altro modo, cioè dal punto di vista del non ego.

Per dirlo in altre parole, la spiritualità autentica è una sconfitta per il me. Chiunque pretende di uscirne è un impostore! Infatti, più il me è forte, più è difficile entrare in rapporto con qualsiasi cosa.

Se, quando parlate a qualcuno, vi domandate quale profitto potete trarne, come vi è possibile incontrarlo davvero, entrare in un rapporto vero con lui? E’ per questo motivo che il tantra è fondamentalmente puro amore, cioè totale apertura.

Il tantra implica il rischio di entrare in relazione vera con il mondo.

 

D. Perché dire del tantra che è puro amore, mentre spesso appare brutale, perfino selvaggio?

 

R.                Avete ragione a sottolineare che l’universo tantrico, con le sue dee corrucciate, le sue pratiche negli ossari, i suoi maestri sferzanti è spesso angosciante. Ma è il segno del suo amore. Il tantra in effetti è terribile  perché non rifiuta niente dell’ampiezza del reale. Se siamo in collera, lasciarsi bruciare dalla collera è il solo modo di vederne sul campo la luminosità inerente, di non rifiutarla. Gli altri approcci, calmarla, comprenderla, esprimerla, cioè sbarazzarsene con qualsiasi mezzo, restano prigionieri di una forma di paura. Essi sono limitati. L’amore è immenso, senza nessuna delle nostre misure.

Per fare comprendere il movimento proprio al tantra, i testi indiani usano l’immagine del pavone che non esita a prendere del veleno perché le sue piume siano più belle. Il tantra è un invito a mangiare il frutto avvelenato. E’ in quello che prende le apparenze feroci. Ci spinge a non trascurare nessun aspetto delle nostre vite, in particolare quelli che ci sembrano i più detestabili o spaventosi. Questo modo di affrontare direttamente il veleno, senza esitare, di saltare nella confusione per liberarla, può sembrare folle, ma in realtà è l’atto più sensato che ci sia. Rifiutare il reale, questa è l’aggressione. Non tarderà a tornare in forma di mostro o di fantasma.

Sapete, non è il tantra che è spaventoso, ma la realtà, specialmente quando si cerca di sfuggirla.

Lo spazio del tantra è pura compassione. Ma non ha niente a vedere con i buoni sentimenti e la compassione idiota. Ci invita non ad essere gentili, ma a saltare nel fuoco dell’amore. A volte l’amore domanda di dire di no, di proclamare la verità, di scuotere… Per questo ci risveglia e ci guarisce.

 

D.     In cosa il tantra costituisce una risorsa preziosa per il nostro tempo?

 

R.                Il nostro tempo è caratterizzato  dalla morte del dio morale e metafisico. Per una gran parte è una chance. Nietzsche, Marx e Freud hanno saputo mostrare il fardello ipocrita e oppressivo delle religioni. Non ci si può affrancare d’un tratto dalle loro analisi. La risorsa straordinaria del tantra è proprio quella di denunciare la religiosità e il moralismo. Le religioni che si istituzionalizzano, che gestiscono la sfera sociale, dimenticano il fuoco che divampò al loro inizio. I loro approcci vogliono spegnere l’incendio. E’ il problema del moralismo. Si riferisce  a dei punti di riferimento che riducono ogni individuo a un caso particolare di un problema generale, che nega la sua singolarità unica. Rifiuta di considerare la situazione in se stessa, la sua coerenza e le sue proprie esigenze.

La via tantrica preserva la verità spirituale in quello che ha di più intimo, a un’epoca dove è difficilmente udibile. Poiché il tantra non ha paura della confusione, è particolarmente adatto al nostro mondo in preda al nichilismo, per trovare dappertutto dove è la “grande salute”. Forse per questo il tantra è adatto a conservare la vitalità della vita, qualcosa di profondamente sano che ci dispone nel modo più aperto.

 

D.    Qual è secondo voi la grande salute che la tradizione tantrica sembra preservare?

 

R.    Lasciarsi attraversare dall’amore, permettere il reale, non temere di guardare veramente  ciò che siamo. La grande salute che vuole il tantra si dimostra  nella nudità sposata alla gloria. E’ strano per noi. Noi associamo la nudità all’umiltà e perfino all’umiliazione. La nudità è ciò che più propriamente siamo, la realtà senza abbellimenti; là dove la disprezziamo e la temiamo, il tantra la canta e la corona.

 

D.    Insistete molto nel vostro libro sul sacro; il tantra è un cammino per ritrovare un rapporto sacro con il mondo? Allora perché ci confronta in modo così diretto  alla nostra confusione e alle nostre paure?

 

R.                Il tantra ci insegna a riconoscere che il mondo è sacro, a stornare il nostro sguardo per fargli abbandonare il suo rapporto duale, spesso angusto e meschino.

 

Ma quel movimento si dispiega a partire dal riconoscimento delle nostre ombre, delle nostre povere ombre, dalla nostra grande insufficienza che lo coltiva e perfino lo celebra. Senza quello non sarebbe diverso da Disneyland, un sogno lezioso placcato oro.

 

Quella articolazione tra due poli, la nostra miseria accettata e la nostra grandezza riconosciuta, segna il genio proprio del tantra. Essendo confrontato a un mondo sacro, vediamo la nostra ipocrisia, la nostra paura, la nostra vigliaccheria. E’ formidabile. Che eccellente concime per far spuntare i fiori del nostro essere!

 

Volere un mondo meraviglioso, l’ultimo, Dio, il Budda, un guru, può essere un modo di allontanarsi dalla propria terra, di privarsi di ogni suolo e di sognare ad occhi aperti. Si assomiglia allora a farfalle che, attirate dalla luce, si accecano e si perdono. Ci sono purtroppo  farfalle in tutte le tradizioni.

 

La loro ricerca assomiglia a un dimenticare la loro vera natura che non percepiscono che sognando all’esterno di loro stessi, come uno stato meraviglioso che gli riuscirà di ottenere. E più lo cercano, più si allontanano da loro stessi. Il tantra è inesorabile: vuole affrontare la realtà come è, senza lasciarci la minima scappatoia. E’ altamente salutare.

 

D.    Qual è dunque per finire il punto saliente che fa così particolare il gusto del tantra?

 

R.                Una forma radicale di fiducia. L’esperienza del tantra sta interamente sulla fiducia nel fuoco sacro  della pura presenza, nell’apertura che non sceglie nulla e che è lì ad ogni istante. Noi non siamo affatto  chi crediamo di essere.

Ci amiamo troppo e non abbastanza allo stesso tempo.

Il tantra ci invita a un gesto di fiducia, un movimento d’amore inaudito e intrepido. Tutte le pratiche tantriche ci invitano a fare quel gesto.

 

Certo, come farlo senza incontrare un maestro, cioè qualcuno che vi ami abbastanza da rivelarvi quella grandezza che in voi era nascosta.